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Innovazione tecnologica, le aziende ancora non ripartono

Una ripresa all'insegna dell'instabilità. È quanto prevede l'IFIIT Research, che periodicamente elabora e rilascia l'Indice di fiducia degli Investitori nell'Innovazione Tecnologica (IFIIT).

Franco Cavalleri

Una ripresa all'insegna dell'instabilità. È quanto prevede l'IFIIT Research, che periodicamente elabora e rilascia l'Indice di fiducia degli Investitori nell'Innovazione Tecnologica (IFIIT).
L'ultima rilevazione vede l'indice scendere da 67,40 a 66,60 punti, segnale di difficoltà che le imprese italiane ed europee vedono nell'immediato futuro.
Non tutti i campi di attività sono colpiti allo stesso modo, qualcuno dimostra elevati livelli di attenzione verso gli investimenti in innovazione. È il caso, per esempio, dei settori bancario, energetico, telecomunicazioni ed elettromedicale, per i quali investire nell'innovazione dei rispettivi servizi ICT è di fatto un must, se vogliono tenere il passo dello sviluppo tecnico nel campo delle infrastrutture hardware, del software e della sicurezza. Pensiamo soltanto a cosa significa, per una banca, costruire una piattaforma cloud.
Resta stabile l'aspettativa di investimento nel made in Italy tradizionale (meccanica, trasporti, moda). A registrare un sensibile calo della fiducia è soprattutto il comparto dell'edilizia. Su posizioni di debolezza anche piccole imprese, professionisti e attività commerciali.
Per quanto riguarda il digital divide, sale ancora la percentuale di imprenditori che considera accentuato il divario tecnologico con altri Paesi. Un problema che, peraltro, è ben presente anche all'interno del Paese, con Piemonte e Lombardia che continuano a dimostrare grande propensione ad investire in innovazione tecnologica. Il Veneto segna una battuta d'arresto, ma più per la contingenza dell'alluvione, che ha duramente colpito zone altrimenti molto attive in questo campo. Il resto dell'Italia si dimostra stabile. Il che, in alcuni casi, significa del tutto fermo.

Perché questo calo dell'indice.
I motivi sono diversi. In Europa è in atto un sensibile colpo di coda della crisi legata ai debiti sovrani. L'Irlanda si è trovata nell'occhio di un ciclone speculativo e ribassista che ha colpito i listini azionari del Vecchio Continente, l'euro e le obbligazioni di stato, rendendo ancora più difficoltosa la tenuta del sistema monetario europeo. Il richiamo al patto di stabilità da parte delle istituzioni verso tutti i Paesi membri perché incentivino un processo virtuoso appare un vincolo che il mondo del lavoro e del risparmio di ogni nazione europea avverte come pericoloso, a causa dei tagli alla spesa e dell'aumento delle tasse che le varie ondate di manovre correttive necessarie per la correttezza dei conti impongono – e imporranno sempre di più nei prossimi mesi se non anni. Ad una situazione internazionale economicamente incerta si aggiunge, per le aziende italiane, la crisi politica che attanaglia la Penisola, i cui effetti sul versante delle relazioni industriali ed economiche costituiscono un serio freno allo sviluppo.
In questa situazione complessiva si registra un leggero recupero della produzione e degli ordinativi, ma non tale da far prevedere un innalzamento del Pil oltre l'1% nel biennio in corso. Si tratta di un tasso di crescita del tutto innocuo, senza la possibilità di apportare un ciclo virtuoso per il recupero del deficit e del debito. Il clima degli operatori non appare al momento orientato verso maggiori investimenti in processi innovativi, anche se non mancano, come abbiamo visto, casi di "audacia competitiva" (nelle competenze al momento più richieste: credito, energia, salute).
A soffrire di più è invece il comparto dell'edilizia e delle attività immobiliari, la cui propensione verso soluzioni tecnologicamente avanzate si riduce sensibilmente. Una condizione che getta una luce poco positiva sul futuro ambientale ed energetico del nostro paese: se l'edilizia si rifiuta, per mancanza di risorse economiche, di adottare ecnologie di costruzione innovative, come potremo rispettare i parametri ambientali e di consumo energetico a cui siamo chiamati dall'Unione Europea?
Il digital divide continua a costituire un grosso problema: sale ancora, dal 42 al 43%, la percentuale degli operatori che ritiene in aumento il digital divide. E' soprattutto il Nord-Ovest a manifestare i più alti livelli di propensione all'innovazione, mentre il Nord-Est appare o neutrale o in calo rispetto alle precedenti rilevazioni: un dato che deve necessariamente interpretarsi come effetto dell'alluvione e dei rischi che essa comporta in diverse zone del Veneto. Qualche segnale di risveglio giunge anche dal Lazio e dall'Emilia Romagna, mentre il quadro resta stabile nel resto del Paese, con punte di accesa criticità anche per l'area campana.


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Pubblicato il: 24/01/2011

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