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Energia nucleare, il problema della supply chain.

Il dibattito sull'energia nucleare in Italia si è incentrato, fino ad oggi, sull'effettiva necessità di costruire nuove centrali – quelle esistenti non sono più considerate utilizzabili, se non dopo interventi radicali di aggiornamento – e se non convenga, al contrario, puntare sulle cosiddette energie alternative. L'intervento di Mike Weightman alla Nuclear Decommissioning Supply Chain Conference dell'anno scorso, recentemente pubblicato, apre un altro fronte di discussione: la supply chain.

Franco Cavalleri

Il dibattito sull'energia nucleare in Italia si è incentrato, fino ad oggi, sull'effettiva necessità di costruire nuove centrali – quelle esistenti non sono più considerate utilizzabili, se non dopo interventi radicali di aggiornamento – e se non convenga, al contrario, puntare sulle cosiddette energie alternative. L'intervento di Mike Weightman alla Nuclear Decommissioning Supply Chain Conference dell'anno scorso, recentemente pubblicato, apre un altro fronte di discussione: la supply chain.
Mike Weightman è ispettore capo degli impianti nucleari e capo della Direzione centrale nucleare presso l'HSE, l'agenzia britannica per la sicurezza negli ambienti lavorativi. Una voce piuttosto autorevole, nel campo, dunque. Secondo la sua analisi, per una gestione sicura delle centrali nucleari è fondamentale una gestione efficiente della supply chain.
Attualmente, nel mondo, sono attivi 439 reattori, con una capacità totale di 372 GW. L'AIEA, l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, prevede una crescita compresa tra il 150 ed il 380 per cento entro il 2050. Ciò significa che ogni anno, tra il 2030 ed il 2050, dovrebbero essere completati dai 23 ai 54 reattori in tutto il mondo.
Perché l'agenzia prende in considerazione, come momento di partenza, il 2030, e non oggi? L'AIEA ha tenuto conto del fatto che la costruzione delle necessarie procedure amministrative e industriali richiede dieci anni, e altri dieci anni sono necessari per costruire una nuova centrale nucleare da zero. Partendo quindi dal database delle richieste di assistenza avanzate dai Paesi membri dell'agenzia – a cui devono per forza rivolgersi per costruire una nuova centrale o anche solo un reattore – l'AIEA è dunque i grado di calcolare quando gli impianti potranno diventare operativi.
La previsione di un livello di sviluppo così elevato ha spinto il problema della sicurezza negli impianti nucleari al top dell'agenda politica globale, e la stessa AIEA ha dovuto rivedere le sue priorità, innalzando i requisiti per la sicurezza da rispettare.
Con suoi 148 reattori (il 33 per cento del totale mondiale) in 15 Stati membri, l'Unione europea è una delle zone del mondo con la maggiore densità di reattori. Al tempo stesso, è una delle più popolate. Le sue piccole dimensioni - la distanza tra Dublino e Varsavia è solo 1.823 km, Stoccolma è 1.974 km da Roma - significa che un incidente nucleare coinvolgerebbe rapidamente la maggior parte, se non tutti, dei 27 Stati membri (come è effettivamente accaduto con l'esplosione della centrale nucleare di Chernobyl del 1986, che ha coinvolto tutta l'Europa geografica, non solo l'attuale UE).
L'Europa ha dunque scelto il nucleare? Evidentemente sì. D'altronde, a causa della generale mancanza di risorse naturali - l'UE ha poco petrolio e gas naturale, il carbone abbonda ma motivi ambientali e di salute lo rendono inadatto per l'uso - i paesi europei hanno ampiamente deciso di ottenere l'energia di cui hanno bisogno dalle centrali nucleari.
Oggi, i suoi 148 reattori generano un terzo dell'energia che l'Unione europea consuma. Vincoli politici ed economici stanno spingendo l'Unione europea ad abbandonare i combustibili fossili – il petrolio proviene soprattutto da paesi musulmani, il gas dalla Russia - e rivolgersi a un diverso mix di fonti di energia, accoppiando energia nucleare e fonti rinnovabili (acqua, sole, vento).
Costruire nuove centrali nucleari, però, richiede soddisfare tre importanti requisiti - conquistare la fiducia dell'opinione pubblica, tenere conto degli impianti esistenti e della loro vetustà, costruire un sistema di controllo e gestione dei rifiuti adeguato – a cui l'intervento di Weightman, come detto, ne aggiunge un quarto: la supply chain. A fronte di tali sviluppi in quantità, si chiede il dirigente HSE, l'industria europea dispone di una supply chain in grado di soddisfare la necessità di forniture veloci, affidabili e di qualità che inevitabilmente arriverà dagli impianti?
Le esperienze più recenti indicano l'esistenza di numerosi punti deboli nell'anello della catena di rifornimenti, secondo Weightman, che vanno affrontati subito per non trovarsi scoperti dopo il 2030, quando, come detto, l'AIEA prevede un boom di nuovi reattori in operatività.
La risposta arriva, secondo lui, dall'istituzione di una nuova autorità mondiale preposta al rilascio delle licenze per far parte di una supply chain per i reattori nucleari e dei relativi controlli sul conseguimento e mantenimento dei requisiti minimi necessari per ottenerla.
Perché un'autorità mondiale? Il problema nucleare, o per meglio dire della sicurezza di un impianto, non può essere affrontato a livello regionale, né tantomeno a livello nazionale: serve, quindi, un'autorità ed un regolamento globale, a cui tutti debbano fare riferimento. Esattamente come l'AIEA oggi, ma che riguardi particolarmente le aziende che forniscono

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Pubblicato il: 24/01/2011

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