Vaillant: la qualità dellaria è questione di scelte

Non possiamo scegliere l'aria che respiriamo ma possiamo scegliere di migliorarla. Con azioni che si svolgono su piccola come si larga scala. E Vaillant vuole giocare bene il suo ruolo.

Autore: f.p.

"Scegliamo l'aria pulita" è il claim che Vaillant si è data in una fase in cui la qualità dell'aria che respiriamo è diventata un problema percepito da chiunque. Specialmente nelle grandi città. Un claim in cui il concetto di "scelta" assume un significato particolarmente "attivo". Di fatto non possiamo davvero scegliere che aria respirare. Quello che possiamo scegliere è di comportarci in maniera da migliorare la qualità dell'unica aria che abbiamo a disposizione.

Lo possono fare i singoli e le istituzioni, per quello che compete a ciascuno. Ma lo possono e devono fare anche le imprese. Da qui il sentirsi coinvolta di Vaillant, come attore importante di un settore (i sistemi di riscaldamento e raffrescamento) considerato uno dei maggiori responsabili delle emissioni di Co2. Un coinvolgimento che - spiega Gherardo Magri, Amministratore Delegato di Vaillant Italia - "non è greenwashing ma qualcosa di concreto".

La concretezza è di sicuro una parola chiave, oggi, quando si tratta di qualità dell'aria. Gli italiani sono "green" forse più a parole che nei comportamenti. Ma in maggioranza concordano sulla bassa qualità dell'aria che respiriamo. Specie ovviamente nelle grandi città. Le rilevazioni di un'indagine di Eumetra e Vaillant lo confermano chiaramente. Il 77% del campione intervistato in Comuni con oltre 500 mila abitanti giudica cattiva l'aria che respira. L'86% è preoccupato per la qualità dell'aria. L'88% si tiene costantemente informato sull'inquinamento atmosferico.


In tutto questo il ruolo delle imprese è molto importante, secondo gli italiani. Sempre secondo l'indagine, il 76% del campione ritiene che le aziende debbano impegnarsi molto a favore dell'ambiente. Anzi, una quota analoga (72%) da questo punto di vista si fida più delle aziende che dei Governi. Una posizione diffusa soprattutto tra i più giovani. Posizione su cui si può essere più o meno d'accordo. E che non è a priori un segnale positivo. Ma che comunque esiste.

Le scelte per l'aria

Tra le "scelte" che vanno prese a favore della qualità dell'aria c'è certamente un ripensamento di come vengono progettati e realizzati i grandi centri urbani. In un periodo storico in cui diverse direttrici dell'evoluzione tecnologica prometteono di cambiare il modo in cui li percepiamo e li viviamo. "Dobbiamo - spiega l'architetto Stefano Boeri - imparare ad orientare questi sviluppi. Anche perché stiamo vivendo una accelerazione formidabile di tutti i fenomeni di cambiamento climatico e c'è un legame diretto fra questo e l'urbanizzazione".

Anche da questo punto di vista le cifre sono chiare. Le città occupano solo il 3% delle terre emerse ma raccolgono il 55% della popolazione mondiale e generano il 75% della Co2 globale. La "tecnologia" che oggi aiuta meglio ad eliminare la Co2 è ancora quella che la natura ci ha dato: gli alberi. Quindi la rivisitazione dei centri urbani in nome della qualità dell'aria passa inevitabilmente attraverso un nuovo rapporto tra verde e città.
La Smart Forest City di Cancun, progettata da Stefano Boeri
Il tema, che Stefano Boeri conosce bene, è quello della forestazione urbana. Il suo Bosco Verticale di Milano è stato un apripista nel mostrare come gli alberi e le piante possono essere elemento costitutivo dell'architettura. Ora gli sviluppi vanno nella direzione di ridurre i costi di edifici analoghi. In modo che queste architetture siano accessibili a tutti. Lo si può fare, tanto che a Eindhoven un edificio simile fa parte di una iniziativa di social housing.

Si deve ovviamente andare anche oltre il singolo edificio. La forestazione urbana passa anche da iniziative estese come ForestaMi a Milano e la progettazione del nuovo parco del Polcevere a Genova. Per i centri che si stanno ancora sviluppando la scelta è, spiega Boeri, "abbandonare il modello dall'aggiunta di periferie, scegliendo invece un approccio in cui il verde è un elemento costituente e progettuale".

Ma mentre si pensa e si progetta tutto questo, sottolinea Boeri, si può anche mettere più semplicemente mano all'esistente. In Italia abbiamo circa 14 milioni di edifici, di cui ben 8 costruiti ancora nell'immediato secondo dopoguerra. Circa 4 milioni di edifici sono chiaramente obsoleti ed energivori. Provvedere a migliorarli, se non proprio a sostituirli, avrebbe effetti positivi a cascata. Non solo per l'ambiente ma anche economici e di sistema.

L'evoluzione verde di Vaillant

Su una scala più piccola, intervenire sull'esistente è anche una delle iniziative che si è data Vaillant. Nelle case degli italiani ci sono circa 14 milioni di caldaie tradizionali che sarebbe meglio sostituire con modelli attuali. Vaillant da qualche anno ha avviato una promozione per la sostituzione che, nel 2019, ha portato all'installazione di 20mila caldaie. Convertite in Co2 non emessa per l'efficienza dei nuovi modelli, queste sostituzioni "pesano" circa 20mila tonnellate.

Vaillant ha anche badato a ridurre il suo impatto energetico diretto, nella sede principale di Milano. Qui ha ridotto i consumi del 30-50% grazie all'efficientamento energetico. Ha convertito la flotta aziendale per il 30% all'ibrido plugin. Punta ad averla in due anni fatta completamente di veicoli ibridi o full electric. Ha un impianto fotovoltaico che ha portato il consumo elettrico diretto quasi a zero.

Tutto queste sempre perché le aziende sono chiamate ormai a un ruolo di primo piano nel miglioramento ambientale. "Il mondo in generale sta cambiando - spiega Gherardo Magri - e lo si vede sui giornali. Ma anche il mondo delle aziende sta cambiando e questo magari non si vede. Si sta passando dagli shareholder agli stakeholder. E l'ambiente è certamente uno stakeholder".

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