Secondo il report di Etifor, gli sforzi del settore pubblico per il ripristino degli ecosistemi non sono sufficienti e il futuro della biodiversità è nelle mani del privato, passando dalle Natural Based Solutions.
Il 65% delle imprese italiane rende pubbliche nel 2025 informazioni su temi ambientali, sociali e di governance (ESG), in aumento del 33% sul 2024, complici gli obblighi imposti alle grandi imprese delle direttive europee e un crescente adeguamento da parte delle PMI su base volontaria, spinte dall’opportunità di acquisire maggiore competitività e migliore reputazione. In particolare, la consapevolezza dell’importanza della biodiversità tra le imprese è aumento: oggi il 38% valuta il proprio impatto in tal senso (+13%) e il 53% prevede di sviluppare una strategia entro il 2030 (+5%). Solo il 17% ha però già adottato misure concrete per gestire i rischi finanziari legati alla biodiversità, mentre il 30% non ha ancora piani in merito. La perdita di biodiversità in Italia, dove oltre 160 specie sono ad alto rischio di estinzione e il 19,6% degli ecosistemi è in uno stato sfavorevole, costa al Paese circa 3 miliardi di euro ogni anno, principalmente a causa della riduzione della produttività agricola e delle attività legate agli ambienti marini. Il 2025 è anche l’anno che ha visto alcune Natural Based Solutions (NBS) consolidarsi come risposta al problema della biodiversità, in particolare: la gestione idrica contro inondazioni e siccità, il turismo e l’agricoltura rigenerativi, interventi di riforestazione multifunzionali.
È quanto fotografato dal report “Biodiversità e settore privato in Italia: tendenze, politiche e strumenti finanziari” realizzato dallo spin-off dell’Università di Padova Etifor e aggiornato grazie al contributo del progetto B4B Italy finanziato dall’UE – NextGenerationEU nell’ambito del National Biodiversity Future Center. Il report esplora il rapporto tra aziende e biodiversità verso la creazione di un’economia nature positive, ovvero in grado di restituire all’ambiente più di quanto prenda o danneggi, e si basa su fonti scientifiche e grigie nonché su dati primari raccolti tramite un’indagine che ha coinvolto 140 aziende italiane di diverse dimensioni, localizzazioni e settori, grazie alla partecipazione di Business for Biodiversity Network, Unione Italiana Olio di Palma Sostenibile, B Lab Italy e Koinètica.
Secondo il report, le difficoltà principali riscontrate dalle imprese chiamate a investire in biodiversità per arginarne il degrado sono: l’assenza di competenze interne, segnalata dal 18%; la carenza di dati e informazioni (13%); la mancanza di incentivi finanziari (13%); regolamentazioni poco chiare (12%); la difficoltà nel misurare gli impatti (11%). Per affrontare questi ostacoli, risulta quindi essenziale standardizzare i requisiti di rendicontazione sulla biodiversità nei diversi settori.
“È importante capire perché la biodiversità è importante. Avere la propria azienda in un territorio e con una filiera con maggiore biodiversità significa avere maggiore resilienza. Siamo nel pieno della crisi climatica che si manifesta attraverso eventi estremi come alluvioni, siccità, ondate di calore ed incendi. Ricostruire un territorio afflitto da un evento estremo costa tantissimo (pensate alla tempesta Vaia, alle inondazioni che alterano i corsi dei fiumi o agli incendi estivi). Ma se quel territorio è ricco di biodiversità allora ci saranno molti impollinatori che renderanno i fiori fertili così che molte specie diverse potranno produrre semi che saranno dispersi da un gran numero di specie animali. La ricostruzione sarà rapida e meno costosa. Investire nella biodiversità permette alle aziende di proteggersi le spalle dagli eventi estremi e nel contempo guardare avanti avendo una strategia per ridurre gli impatti ambientali” spiega Lucio Brotto, Co-Founder di Etifor | Valuing Nature.
In Italia, nel 2025, è aumentato il ricorso a specifiche NbS, delineando dei veri e propri trend di investimento da parte delle imprese, con il supporto del settore pubblico, che andranno a consolidarsi nel 2026.
Il tema della gestione idrica, che mira a contrastare inondazioni e siccità oltre che migliorare la qualità e ottimizzare l’utilizzo dell’acqua, passa attraverso diverse tipologie di intervento, spesso combinate, quali il ripristino di zone umide o la creazione bacini di infiltrazione e ricarica della falda. Un esempio sono gli interventi diffusi dell’iniziativa BioClima: un modello di partnership pubblico-privato per la conservazione della biodiversità e il contrasto alla crisi climatica in Lombardia unico nel suo genere a livello nazionale. L’iniziativa di Regione Lombardia, Fondazione Cariplo ed Etifor ha visto contribuire oltre 100 aziende a generare 1,5 milioni di euro di co-finanziamento, sostenendo i 12 progetti in 22 habitat, come il ripristino di 27 ettari fra aree umide e interventi a sostegno della fauna (dagli impollinatori ai pipistrelli).
Un secondo trend è rappresentato dal turismo rigenerativo, affiancato dalla gestione responsabile delle destinazioni e dei territori, in risposta all’overtourism con soluzioni basate sugli standard internazionali GSTC. Un progetto italiano destinato a diventare un modello replicabile in questa direzione è il “Garda Trentino”, volto a migliorare il benessere della comunità locale e la qualità dell’offerta turistica. Qui, le attività messe in campo includono formazione, analisi ESG, coinvolgimento degli stakeholder, identificazione di rischi e impatti, e definizione di un piano di gestione sostenibile.
Anche l’agricoltura rigenerativa come soluzione al problema del degrado e dello sfruttamento del suolo è un settore in espansione che coinvolge in maniera sistemica anche altri campi, come l’allevamento. Il primo esempio italiano di allevamento rigenerativo arriva dal Veneto, dove Verderosa Farm è in grado di calcolare per ciascun animale al pascolo non solo il consumo di cibo e acqua, ma anche tutti gli impatti ambientali legati all’allevamento nel suo complesso, includendo struttura, approvvigionamento, logistica, consumi energetici ed emissioni. L’approccio rigenerativo prende poi forma attraverso interventi di riforestazione, agroforestazione e gestione forestale attenta, che potenziano naturalmente la fertilità del suolo e attraverso una rete di altre NBS legate alla risorsa idrica, che si estendono per 20 ettari, in grado di restituire all’ambiente più acqua di quella consumata dalla farm. Attualmente viene catturato il doppio di CO2 rispetto a quanto viene emesso e viene restituita al suolo, dopo averla infiltrata e resa pulita, 15 volte l’acqua impiegata dalla struttura.
Oggi le foreste frutto dell’intervento di ripristino umano tendono sempre più a configurarsi come superforeste, ovvero aree verdi multifunzionali in grado di rispondere contemporaneamente a più esigenze. Un esempio è Bosco Limite, sempre in Veneto, che nel 2013 è stato trasformato da campo di mais in una foresta di pianura permanente che coniuga ricerca scientifica, servizi ecosistemici e spazi educativi come asilo, sentieri e percorsi sensoriali. Esteso per 2,5 ettari, con 2300 alberi, 20 specie animali e un km di canalette di infiltrazione, il bosco nasce per contrastare sfruttamento intensivo dei suoli, pressione sulle falde acquifere, perdita di biodiversità e inquinamento atmosferico. Il nuovo ampliamento del 2025 vede l’area forestale ampliarsi con nuovi bacini di infiltrazione, aree umide multifunzionali, 1.400 alberi e arbusti autoctoni, siepi e prati melliferi per gli impollinatori, oltre a sentieri, punti di osservazione e spazi didattici.
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