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Goletta Verde lancia l'allarme trivellazione nel mare italiano

Goletta Verde presenta tutti i numeri e i pericoli dell'estrazione di petrolio nel mare italiano: 30 mila chilometri quadrati, una superficie più grande della Sicilia, a rischio trivelle.

Redazione Green

Una superficie di mare italiano di circa 30mila chilometri quadrati, più grande dell'estensione della regione Sicilia, rischia la realizzazione di nuove piattaforme petrolifere.
Le attenzioni delle aziende energetiche internazionali riguardano soprattutto il canale di Sicilia e le coste adriatiche di Puglia, Molise, Abruzzo e Marche.
È questo l'allarme lanciato da Goletta Verde con il dossier "Un mare di trivelle", presentato durante la navigazione tra il Gargano e le isole Tremiti, oggetto di diverse richieste di ricerca di idrocarburi.
Il rapporto illustra tutti i numeri e i rischi legati alle 117 nuove trivelle che, grazie ai permessi di ricerca di idrocarburi rilasciati fino ad oggi, minacciano il mare e il territorio italiano. Solo nell'ultimo anno infatti, sono stati concessi 21 nuovi permessi di ricerca per un totale di 41.200 chilometri quadrati (kmq). 
Il mare non viene risparmiato: sono 25 i permessi di ricerca già rilasciati al 31 maggio 2011 al fine di estrarre idrocarburi dai fondali marini, per un totale di quasi 12mila kmq a mare, pari ad una superficie di poco inferiore alla regione Campania: 12 permessi riguardano il canale di Sicilia, 7 l'Adriatico settentrionale, 3 il mare tra Marche e Abruzzo, 2 in Puglia e 1 in Sardegna. 
Se ai permessi rilasciati, sommiamo anche le aree per cui sono state avanzate richieste per attività di ricerca petrolifera, l'area coinvolta diventa di 30mila kmq, una superficie più grande della regione siciliana. Nel dettaglio, le aree di mare oggetto di richiesta di ricerca sono 39: 21 nel canale di Sicilia, 8 tra Marche, Abruzzo e Molise, 7 sulla costa adriatica della Puglia, 2 nel golfo di Taranto, e 1 nell'Adriatico settentrionale. 
In Italia nel 2010 sono state estratte poco più di 5 milioni di tonnellate di petrolio (4,4 milioni di tonnellate a terra e circa 700 mila tonnellate a mare), pari al 7% dei consumi totali nazionali di greggio. Il petrolio dai fondali marini è stato estratto utilizzando 9 piattaforme e 83 pozzi ancora produttivi. La produzione di petrolio off shore, da trivellazione a mare, si concentra in due zone: a largo della costa meridionale siciliana, tra Gela e Ragusa, dove nel 2010 si è prelevato il 54% del totale nazionale estratto dai fondali marini, e nel mar Adriatico centro meridionale dove è stato estratto il restante 46%. 
Ed è proprio su queste due zone che si concentra maggiormente l'attenzione delle compagnie per le nuove trivellazioni. Una lottizzazione che non risparmia nemmeno le aree marine protette, come nel caso delle Egadi o delle Tremiti.
Lo scorso aprile il ministero dell'Ambiente, con quello dei Beni culturali, ha approvato la Valutazione di Impatto Ambientale (Via) relativa ad un programma di indagini della Petroceltic Italia srl in un'area a ridosso delle isole Tremiti.
La decisione ha riaperto la corsa al petrolio intorno al pregiato arcipelago, dopo che le dichiarazioni dello stesso ministro dell'ambiente Prestigiacomo e il decreto legislativo 128 del 20 giugno 2010, che vincola le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi in mare, sembravano avessero fatto prendere una direzione opposta.
Proprio l'Adriatico centro meridionale è oggetto di numerose richieste di ricerca soprattutto da parte di due aziende petrolifere straniere, la Northern Petroleum e la Petroceltic Elsa, ed è proprio per questo che la Goletta Verde di Legambiente assegna loro la poco ambita qualifica di "nuovi pirati del mare", conferendogli simbolicamente la bandiera nera, come già fatto con la Shell alle isole Egadi. Il vessillo, notoriamente consegnato a chi porta avanti progetti che minacciano l'integrità dell'ecosistema marino, vuole dimostrare tutto il disappunto dell'associazione ambientalista nell'assistere a questa compravendita che vede tratti di bellissimi mare svenduti a basso costo.  
Ad aggravare la situazione incombono inoltre leggi "ad trivellam" che allentano le maglie ai divieti imposti dal ministro Prestigiacomo la scorsa estate.
L'ultimo favore alle trivellazioni è arrivato il 7 luglio con il decreto legislativo di attuazione della direttiva sulla tutela penale dell'ambiente. Senza alcun pudore, si è utilizzato un provvedimento che avrebbe dovuto rafforzare le misure di tutela ambientale per inserire un comma che in realtà permette di aggirare il divieto alle attività di ricerca, prospezione ed estrazione di idrocarburi in mare per il Golfo di Taranto.

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Pubblicato il: 01/08/2011

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